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Ogniqualvolta vi capiti di andare su MTV, o su una qualunque emittente musicale, sarà facile trovarvi davanti a video musicali R’n’B, ossia Rhytm and Blues (anche se è difficile capire dove stia il Blues). All’interno di questi contesti sono presenti una serie di stereotipi, sia musicali che di ambientazione, mentre le varianti, anche a livello superficiale, sono minime. Musicalmente gli arrangiamenti sono standard, base elettronica di batteria stile hip hop, giri armonici piuttosto semplici, spesso campionati da brani altrui. L’unica differenza nell’arrangiamento può stare nella presenza di questa o quella particolarità (ad esempio innesto di fiati o percussioni africane). La parte melodica consta in sezioni “rappate” dall’MC di turno alternate ad ulteriori sessioni canore gorgheggiate da una cantante afro/ispano-americana, in linee che difficilmente hanno una struttura ben definita e naturalmente nemmeno articolata. Entrambe cercano conforto l’una nei confronti dell’altra, sperando che l’unione faccia la forza e insieme si riesca a raggiungere una lunghezza della traccia accettabile. Lo spessore culturale dei testi rasenta l’infantile. Lo spunto più interessante sul quale si vorrà andare a focalizzare l’attenzione è il rappresentato di questi video musicali. La musica hip hop nasce intorno ai primi anni ’80 ad Harlem, il quartiere–ghetto dei neri di New York. Essa viene concepita come espressione del disagio sociale della minoranza afro-americana, quindi fondamentalmente come una denuncia della propria condizione inferiorizzata da parte della classe dominante bianca. Nonostante tutte le lotte degli anni ’60-’70 contro la discriminazione razziale che hanno portato a livello legislativo a notevoli cambiamenti, di fatto c’era (e c’è) ancora molto da migliorare. L’integrazione delle minoranze – in questo caso di quella nera – era ancora molto debole, e in alcune zone, specialmente in quelle rurali e nel profondo sud, del tutto assente. I neri che riuscivano a uscire dalla situazione di povertà o di precariato erano una percentuale minima, tutti gli altri erano relegati alla manodopera di basso livello, anche perché non avevano possibilità di un’istruzione adeguata, potendo usufruire solo delle scadenti e pericolose scuole pubbliche. Nacque così la cultura hip hop che sembrava riuscire trasferire la violenza delle gang in arte. Il successo quasi immediato che ebbe portò le problematiche dei neri in auge, anche grazie alla ferocia delle liriche di protesta e malcontento che venivano pronunciate contro la classe dominante degli W.A.S.P. (White Anglo Saxon Protestant). Il paragone con il movimento punk non appare del tutto fuori luogo. Come per il punk però la rabbia dei rappers andò col passare del tempo affievolendosi, o più semplicemente essi cominciarono a sentire l’odore dei soldi. Nel 2005 la situazione dei neri americani non è molto migliorata, emblematica è la loro massiccia presenza fra i contingenti militari statunitensi – dove spesso sono relegate le classi subalterne più bisognose di fonti di guadagno rapide - e come continua a rappresentare per la popolazione bianca uno spauracchio, lo stereotipo del delinquente violento, grazie soprattutto al terrorismo mediatico. Guardando però i video musicali non traspare nulla di tutto ciò: i rappers appaiono circondati da belle ragazze succinte da arredamento, fra l’altro palese segno di maschilismo, limousine, telefonini ultimo modello, ville sontuose, yacht, orologi e gioielli preziosi, talvolta con l’ossimorico sfondo del ghetto. Nonostante questa contraddizione miliardari produttori come P. Diddy non vengono certo considerati dei traditori e via dicendo, anche perché spesso personaggi del genere operano beneficamente verso la comunità di appartenenza.(1) Questo avviene perché le classi subalterne sono state imbrigliate nei meccanismi e nella mentalità di consumismo e capitalismo, ed essendo costoro generalmente di scarsa cultura il grado di consapevolezza resta piuttosto basso. Esse pur volendo raggiungere una condizione migliore, più che puntare a un miglioramento della società, effettivamente più difficile, puntano all’emulazione dei propri beniamini che hanno raggiunto il successo. Il video rappresenta perciò modello ideale di vita e di comportamento. Gli status-symbol chiaramente sono di vari livelli: partiremo dal vestito e dall’addobbo adeguato, alla macchina, alle donne. A questo proposito difficilmente le protagoniste dei filmati non saranno di bellezza statuaria, anzi spesso il motivo principale per cui tanti maschietti seguono i videoclip r’n’b sono proprio le curve messe in bella mostra dalle soubrette, che a loro volta saranno modello per le giovani donne del ghetto. Particolare grottesco è quando star del jet set “bianco” tentano di entrare, sulla scia della moda del momento, a contatto con le realtà dei neri e degli ispanici. In questi casi la presa in giro raggiunge livelli topici. [G. Threepwood] (1) Da notare l’importante sovrapposizione del gruppo degli ispano-americani, provenienti perlopiù dall’America centrale. |
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