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Concerto Mark Lanegan del 29/11/2012



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Orion

Roma

29/11/2012

"Per me la vita e la musica sono una questione di stile" disse una volta Miles Davis, e vale la pena riportare questa frase non solo per l'ovvio motivo secondo il quale iniziare una recensione con una citazione fa figo. Lanegan e', per chi lo conosce, l'incarnazione del concetto di Davis. Sincero come pochissimi, tormentato come nessuno, con alle spalle una vita quantomeno movimentata, e' lecito aspettarsi che, in una notte di novembre, piovosa e freddissima, sia capace di dare il suo meglio. L'Orion si trova a Ciampino, ed e' un posto orribile dove nell'ultima settimana, all'interno di un festival epilettico e senza senso, hanno suonato nell'ordine: Lanegan, Il Teatro degli Orrori e i Club Dogo. Chiunque abbia curato la line-up ha seri problemi, fatto sta che, per fortuna, Roma e' ancora un posto in cui e' possibile vedere concerti di un certo livello. La fauna presente in sala e' variopinta come prevedibile, dal quarantenne con gli occhiali al vichingo barbuto con vedute ampie, e cosi' via.

Il primo dei due cantautori londinesi di spalla e' un giovanissimo di nome Lyenn che stupisce e affascina i pochi gia' presenti verso le 20; con sola chitarra acustica riverberata all'inverosimile, voce sussurrata e la giusta timidezza per queste circostanze dona venti minuti di stranezze cantautoriali folk e convince tutti, a parte qualche sbavatura nel finale, viziato da troppo inutile pathos. Il secondo londinese e' Duke Garwood, molto piu' blues e destrutturato, tutti i suoi pezzi sono unici blocchi adimensionali, senza alcuna successione strofa-ritornello, spesso al limite del parlato. Affascinante e cerebrale, nonostante l'acustica dell'Orion, che scricchiolera' per tutta la serata. L'ultimo gruppo spalla sono i belga Creature with the Atom Brain, i cui perfetti batterista e chitarrista figurano anche nella rinnovata Mark Lanegan Band e quindi, in pratica, aprono il concerto a loro stessi, rimanendo sul palco per due ore filate. Stoner depotenziato, piu' radio-friendly e meno desertico, ma comunque interessante; gradevolmente piu' sporchi che su disco, chiudono con "Transylvania", il loro pezzo migliore, con riffone conclusivo, tenuto giustamente per quei buoni dieci minuti.

A quanto pare Lanegan anni addietro ha condiviso casa a Bruxelles con Tom Barman, leader dei dEUS, e a questo si deve la nuova formazione della Mark Lanegan Band, composta interamente da fiamminghi sconosciuti e bravissimi.

Il nostro apre con "Gravedigger's song" e la prima parte del concerto e' semplicemente un unico brivido che passa attraverso "One hundred days", "Sleep with me" e "One way street". La folla, non nutritissima, ma devota al limite dell'adorazione, ascolta quasi in rispettoso silenzio. Su "One way street" una donna affianco a me piange...fino alla seconda parte del concerto, dove qualcosa si incrina.

Lo si sente sottopelle e non si puo' puntare il dito da nessuna parte: la band era perfetta, la sua voce era quel monumento all'oscurita' che tutti conosciamo, la scaletta ben equilibrata (grazie a Dio non ha fatto "Ode to sad disco"); eppure te ne accorgi che qualcosa e' cambiato quando Lanegan attacca "Harborview hospital" , o quando si sentono le tastierine Casio di "Quiver syndrome", ed il suo coretto "Uh-uh, uuh". I cattivi lo chiameranno sputtanamento, ed avranno torto, i maliziosi diranno mainstream, e non ci azzeccheranno, io dico "mestiere con stile". Insomma, non si puo' pretendere che uno come Lanegan, ovvero l'incarnazione moderna del bluesman depresso, solitario, intriso di alcool e lacrime, rimanga sempre lo stesso, riducendosi a stereotipo. Pero' da uno come lui non ti aspetti cose come presentare la band, synths, drum-machines, non fumarsi neanche una sigaretta tutto il tempo e, alla fine, fermarsi per firmare gli autografi. Qualcosa e' cambiato, sara' infantile o sbagliato come punto di vista, e non sto dicendo che un artista di quel livello non debba evolversi pur di confermare cio' che i suoi fans vogliono; ma la sensazione e' che, in un modo o nell'altro, qualcosa sia andato perso. La sincerita', il dolore e la passionalita' sofferente di un'artista unico come lui, quella sera mi sono arrivate solo nella prima meta' del concerto.

Per dire: due anni fa, Lanegan fece una serata al Circolo degli Artisti, solo la sua voce, piu' un chitarrista acustico, e quella sera di certo si commossero un sacco di persone in piu', e scorsero brividi lungo la schiena che si sentirono fino a Tor Pignattara.

Detto questo, anche questa serata all'Orion e' stata stilisticamente perfetta, non una sbavatura e non una nota fuori posto, e rimane ovviamente il fatto che uno come Lanegan ha piu' stile e classe del 90% di cio' che va in giro oggi, e quel carisma non ce lo si inventa.

Lo stile, in fondo, come diceva Miles Davis, non e' certo cosa da poco.

[Giovanni Solazzo]


Recensioni dei protagonisti del concerto:
Mark Lanegan - And Isobel Campbell - Ballad Of The Broken SeasMark Lanegan
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