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Ho scoperto gli Alice In Chains come milioni di persone: con il video di Rooster. Quella voce, quella malinconia mista a rabbia. Quella canzone. Quando ho comprato Dirt tutto si è elavato all'ennesima potenza: mi innamorai di quella voce unica, delle armonie vocali con il chitarrista Jerry Cantrell, dei testi malati, pieni di storie di droga, morte, odio e amore. Misi immediatamente Layne Staley tra i miei cantanti preferiti assieme ad Eddie Vedder, Chris Cornell, Kurt Cobain e Mark Lanegan. Venivano tutti dalla stessa scena. Mi sono sempre chiesto come fosse possibile. Gli Alice In Chains mi sono sempre rimasti nel cuore. Mi sono sempre abbattuto pensando che, dopo il disco omonimo, non avessero fatto più niente. Certo, uscì l'unplugged, il live elettrico, il box, il meglio del box, il greatest hits. Ma mai niente di nuovo. Ogni tanto arrivavano voci: c'è chi diceva che erano in studio, chi che erano alla ricerca di un nuovo contratto. Chi che Layne Staley stava sempre peggio. Probabilmente era tutto vero. Di vero c'è che Layne non meritava di morire così. Abbandonato, come l'ultimo dei miseri. Come uno che non ha nessuno al mondo a parte il pusher. Layne ha incarnato più di molti la quintessenza della voce di una generazione. Di una generazione arrabbiata ma depressa. Che non ha nemici reali da combattere, ma solo i propri fantasmi. Layne ci mancherà. Layne quando cantava nell'unplugged mi ha salvato la vita. Mi è stato vicino in un momento difficile e sicuramente sarà vicino a me anche in futuro. Anche se è morto ignorato da tutti. E' il secondo dei Mad Season che ci lascia (dopo Baker). Un gruppo nato durante una terapia di recupero dalle tossicodipendenze. Che ci sia da lezione anche questo. [Dale P.] |
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