La trasversalita' del catalogo Denovali, che abbraccia gran parte dello scibile sonico amato dai timpani più ricettivi, non e' pregio che si scopre oggi. Tocca a Carlos Cipa, ventiduenne pianista tedesco, debuttare ora sull'attenta etichetta tedesca con dodici acquerelli alieni al catrame, alle urla sguaiate e alle distorsioni sludgeose che siamo soliti ascoltare da queste parti. Se non avete pazienza per tanta gracilita' emotiva, potete mostrare il medio e voltare le spalle. Io mi sono soffermato piu' volte, anche perche' un po' di sana malinconia pianistica non fa mai male.
La scuola e' debussyana, nonostante una sensibilita' piu' prossima a quella di Erik Satie. C'e' chi potrebbe osservare come Cipa ricalchi quasi didascalicamente Sylvian Chauveau o suoni come un wannabe-Ludovico Einaudi. Di certo subisce un'evidente fascinazione sia dal francese che dal nostrano compositore. Non dimenticherei pero' di citare come termine di paragone i Mamiffer, seppur ripuliti dalla coltre di nero malessere che li riveste. Nonostante gli inevitabili punti di tangenza con nomi ben piu' noti, Cipa si smanica per bene e prova a dire la sua col crescendo epico di "Cold Night" e coi lievi tocchi barocchi di "Human Stain", lo spartito piu' sostenuto. Gran parte delle composizioni si svolge in chiave minore e assume contorni delicati e interessanti nelle iniziali "Perfect Circles", "The Whole Truth" e, piu' in profondita', in "Lost And Delirious" e "Lie With Me".
Potrei metterlo su tutti i giorni solo se la mia esistenza fosse davvero una merda assoluta, ma non essendo ancora un disperato questo e' uno di quei dischetti che si affaccia una volta tanto per dare un tocco di varieta' alla roba consueta che mi capita a portata di padiglione auricolare. L'unico neo tecnico e' l'indugiare sui consueti luoghi comuni tipici del genere, che senza altri strumenti offre poco in termini di variazioni d'umore. Poco male pero', a conti fatti c'e' della sincerita' in "The Monarch And The Viceroy" e cio' vale tanto.
[Marco Giarratana]
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