Certamente i Dream Theater non hanno bisogno di recensioni. I fan (italiani) comprano ogni nota suonata dalla band il giorno stesso in cui viene pubblicata e, soprattutto, non tollerano critiche. Se pensate che non sia vero fatevi un giro su Usenet o nei miliardi di forum che popolano la rete.
Allo stesso modo i detrattori della band sono altrettanto ridicoli, dimostrando, spesso, di non aver ascoltato niente oltre al nome del gruppo.
La verità è, quasi certamente, nel mezzo. I Dream Theater sono uno dei pochi gruppi che mantengono in vita e aggiornano la stagione del progressive/pomp rock degli anni 70. E lo fanno dichiaratamente, senza voler essere sperimentali e strani a tutti i costi. Ci buttano in faccia la loro abilità tecnica, il loro citazionismo palese (altrimenti la citazione non viene colta) e i loro tre tipi di canzone: melodico-ruffiano, potente-ma-non-troppo e strumentale-sborrone.
Octavarium non rivoluziona il sound della band, semplicemente mette in maggior risalto la figura di LaBrie, forse la persona di maggiore gusto nei Dream Theater. A livello strumentale Petrucci, rispetto al precedente Train Of Thoughts, compie un passo indietro tornando a "soli" più umani e orecchiabili mentre Rudess è maggiormente presente in orchestrazioni e atmosfere più che a cercare di superare in velocità la chitarra.
Portnoy è sempre uguale a sè stesso e prevedibilissimo ma sempre piacevole da ascoltare mentre Myung è inutile e poco incisivo come al solito.
Il disco, in sostanza, si fa ascoltare più che volentieri anche grazie alla maggiore cura verso la "forma canzone" tenendo per l'ultimo brano di 23 minuti tutti gli esercizi di teoria e solfeggio sparati a mille e i pruriti prog/pomp più kitch.
[Dale P.]
Canzoni significative: The Root Of All Evil, Panic Attack.
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