Voce grossa, riff tra lo sludge e il doom, scatti di nervi quasi hard rock. Joe Preston in formazione. No, non sono i Melvins ma certamente la band più melviniana che abbia mai sentito. Pur essendo praticamente sconosciuti a tutti, gli Harvey Milk (nome preso dal primo politico dichiaramente gay e ucciso nel 1978 da un omofobo) sono in attività da quindici anni, ma solo da un paio di anni hanno iniziato a far parlare di se oltre alla cerchia dei pochi fortunati cultori. Grazie in primis alle ristampe della Relapse e ora all'interessamento della Hydrahead, senza trascurare l'innesto dell'ex Melvins, Thrones, Earth, High On Fire Joe Preston: in pratica il session man per eccellenza dello sludge/doom cavernoso.
La differenza con i Melvins, è che gli Harvey Milk suonano come suonavano Buzz e Crover prima di firmare per la major Atlantic ma con una buona dose di serietà in più e usando pennellate più varie come le influenze southern, o semplicemente usando uno spettro sonoro vagamente più vasto e una sottile vena poetica e teatrale.
Non aspettatevi altro che quel suono, maturo e a fuoco, ma indubbiamente con molto meno carisma di Osbourne e soci. Buone canzoni, ottimo il suono ma al di là di Preston e della Hydrahead sono e rimarrano un nome di culto. Potete quindi amarli alla follia come reputarli inutili. Ma se di fronte all'incedere noise sludge dell'opener "Death Goes to the Winner" non proverete i brividi lungo la schiena allora difficilmente potrà interessarvi proseguire il discorso.
[Dale P.]
Canzoni significative: Death Goes To The Winner, Decades.
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