Non esattamente dei novellini, i Twelve Tribes, si presentano a noi con il quarto album ufficiale. Facente parte dell'ondata metalcore patrocinata da Ferret, la band ha girato il mondo dividendo il palco con Hatebreed, A Life Once Lost, Killswitch Engage, Poison The Well, Unearth, 36 Crazyfists, Kittie, Zao, Soulfly.
Se calcare i palchi a lungo finisce per affinare le doti tecniche e acquisire sicurezza è anche vero che, suonando con altre band, si finisce per rubargli qualcosa. Sembrà però che la band appreso talmente tanto da non avere più una propria personalità.
"Midwest Pandemic", infatti, affronta numerose strade senza però slegarsi dalla semplice riproposizione di stilemi già sfruttati da altri. Ascoltando "Pagan Self Portrait" vi verranno in mente almeno 5 bands diverse. Discorso analogo per "History Versus The Pavement" e così via. Il disco suona quindi come un discreto mash-up di brani hardcore / metalcore / postcore / thrash / screamo.
5 secondi di Pantera, poi Meshuggah, Poison The Well, Zao, Converge, come un bignami della musica moderna pesante. Risulta quindi ovvio che la band non ha il carisma per svettare in mezzo alle proprie influenze ma soprattutto per soddisfare un pubblico rispetto che un altro.
"Midwest Pandemic" è un album in cui succedono parecchie cose, non tutte però sullo stesso piano qualitativo. Come se la band non avesse un filtro per bypassare le cadute di stile, finendo per assimilarne anche le particolarità più scontate.
Dall'altra parte però è encomiabile l'idea di questo "meltin' pot" sonoro, che sfruttato meglio donerebbe nuova linfa ad un genere attualmente parecchio inflazionato. Rimandati al prossimo disco...
[Dale P.]
Canzoni significative: Pagan Self Portrait, Midwest Pandemic.
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