A seguito della lunga pausa che i Nevermore si sono presi, dopo il lungo tour di supporto allo splendido "This godless endeavor", Warrel Dane, uno tra i cantanti più talentuosi degli ultimi tempi, ha finalmente avuto l'occasione per dedicarsi anima e corpo al suo progetto solista che, per mancanza di tempo, era in ballo da diversi anni ma non riusciva ad avere la giusta attenzione.
Per l'occasione Dane si avvale della preziosa collaborazione dell'amico Peter Wichers, ex chitarrista e compositore dei Soilwork, nelle vesti di songwriter e produttore, di Dirk Verbeuren (ex Soilwork e Scarve) alla batteria e Jim Sheppard, anch'esso membro dei Nevermore, al basso, oltre che dei contributi di Jeff Loomis (pensate un po'...chitarrista dei Nevermore!) e di James Murphy (Testament, Death, Obituary); nonostante la line-up suggerisca un forte attaccamento alla band madre, il disco in questione, chiamato "Praises to the war machine", ben lungi dall'essere una scialba copia dei lavori dei Nevermore, ne prende il sound e lo scarnifica, riducendolo ai minimi termini, eliminando il solito riffing ipertrofico e travolgente di Loomis e mescolandolo sapientemente a tutta una serie di influenze (dai Megadeth anni '90 allo swedish, ma non solo) che Wichers è bravo a rendere omogenee e coerenti; nonostante la caratura degli artisti in ballo si evitano tecnicismi di ogni sorta, in favore di un approccio piu diretto e facile, ma senza scadere nel catchy, lasciando invece ampio spazio all'ugola ispirata di Dane, vera protagonista del disco.
Le 12 tracce trascorrono senza intoppi, con la mano sapiente di Wichers a disegnare riff e melodie sempre azzeccati, tra arcigni mid-tempos, episodi più veloci e cattivi ("The Day The Rats Went To War" ed "Equilibrium") e un paio di cover ("Lucretia my reflection" dei Sister Of Mercy, tra le migliori canzoni del lotto, e "Patterns" di Paul Simon, autentica passione del cantante); immancabili anche le ballads ("Your chosen misery" su tutte), in cui la voce profonda e emozionale viene esaltata come mai prima d'ora.
Tirando le somme possiamo definire "Praises to the war machine" un disco senza evidenti punti deboli, mancante forse della canzone-capolavoro, che compensa comunque con una qualità sempre costante delle composizioni e forte delle consapevolezza di una voce nettamente al di sopra ci qualunque altra al giorno d'oggi. Se siete tra chi non si limita a cercare nel metal potenza e velocità ad ogni costo, apprezzando anche la raffinatezza e cura, questo è un ascolto che non potete perdere.
[Sabagod]
Canzoni significative: Messenger, Lucretia My Reflection, The Day the Rats Went to War.
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