Sembra l'altro ieri che passavamo le giornate deprimendoci ascoltando "Dirt" ed è già arrivato il momento del tributo. L'album del successo mondiale degli Alice In Chains, e per molti il loro disco migliore, viene reinterpretato da 13 artisti di area doom/stoner/sludge grazie alla Magnetic Eye che nel 2018 fece più o meno la stessa cosa con "The Wall" dei Pink Floyd.
Non è facile mettere mano al repertorio degli Alice In Chains: arrangiamenti complessi, armonie vocali, intensità e una discreta dose di tecnica rendono impegnativo affrontare anche il brano più semplice. Vediamo nello specifico come si sono comportati i partecipanti.
Partono i Thou con "Them Bones" resa con un piglio più sludge metal con urla e una bella dose di grezzume in più, ricordando come la band di Cantrell abbia influenzato anche i suoni putrescenti provenienti dal Louisiana (vedi Acid Bath). I Low Flying Hawks preferiscono approcciare "Dam That River" in ottica psichedelica trasformandola in un brano che potrebbe essere uscito dal "disco con il cane a tre zampe" (tipo "Frogs"). Gli High Priest rifanno pedissequamente "Rain When I Die" che acquisisce quasi una sfumatura Soundgarden; i doomster Khemmis premono l'acceleratore dell'epicità in "Down In A Hole". These Beasts virano "Sickman" verso il noisemetal mentre Howling Giant rifanno "Rooster" in modalità "Mastodon": azzardata ma non proprio riuscitissima. Forming The Void ribaltano totalmente la splendida "Junkhead" trasformandola in un banale brano alternative metal privo di soul; Somnuri preferiscono mantenere la natura di "Dirt" senza grandi differenze con l'originale. Backwoods Payback rendono "God Smack" un po' più southern metal tamarra, i Black Electric sono confinati nell'intermezzo "Iron Gland" e i potenti sludgers 16 si cimentano con "Hate To Feel", perfetta nell'andamento mortifero. Gli svedesi Vokonis metallizzano "Angry Chair" con un risultato curioso ma non proprio eccellente. La compilation si riprende giusto alla fine con la versione oscura di "Would?" ad opera dei The Otolith, formati da ex membri dei SubRosa
Nell'insieme un buon prodotto ma un po' monocorde. Avrei preferito delle reinterpretazioni più coraggiose e particolari (per esempio c'è solo una cover con voce femminile) sebbene la maggior parte delle band abbia preferito mostrare il lato più oscuro rispetto a quello più commerciale e tecnico.
Un disco che vale l'ascolto ma da cui non aspettarsi miracoli.
[Dale P.]
Canzoni significative: Would?, Down In A Hole.
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