Il fatto che un’etichetta di punta nel genere postcore\postrock decida di pubblicare un side project di stampo prettamente dark ambient la dice lunga su quanto stia crescendo l’attenzione nei confronti dell’ex Godflesh Justin K Broadrick e della sua sfaccettata attività compositiva. Final è in verità il progetto più datato del musicista, che sotto questo monicker intende dare sfogo al suo lato meno aggressivo, rifacendosi in parte ai pionieri dell’elettronica più meditativa e ai maestri dell’ambient tastieristico.
In sostanza nessuno prima aveva preso sul serio il progetto Final, che nel 2006 vede in formazione anche Diarmuid Dalton, bassista nei più conosciuti Jesu, qui invece impegnato nella manipolazione di tastiere, plugins, drones ed elettroniche in generale. Dopo una manciata di EP e ben tre full-lenght tutti su piccole label, ci troviamo di fronte ad un megacompendio in doppio cd con tutto il (nuovo) materiale dal 2000 ad oggi, più di due ore di musica. Due ore che sono decisamente troppe, vista la qualità altalenante del materiale proposto. Non ci troviamo di fronte ad un disastro, bensì ad una poco più che mediocre incursione in territori sonori forse troppo rarefatti per chi, come Justin, vive di megachitarroni e ritmiche cadenzate. I 27 brani sono quasi sempre riconducibili a 3 sottostili, 3 diversi approcci musicali che si ripresentano ciclicamente in tutto il disco: abbiamo composizioni basate su drones ripetitivi dal vago sapore apocalittico, altre tastieristico\ambientali ricche di glitches e interferenze noise, e infine delle manipolazioni su tracce di cui non è data l’origine, come se Broadrick avesse preso intere canzoni e le avesse filtrate con dei semplici plugins, distorcendole e ovattandole. In alcuni casi ci sembra di sentire i canovacci scarni e casalinghi di canzoni che forse erano destinate a Jesu, salvo essere infine scartate e inserite nel progetto di ‘serie b’. Approssimativo e amatoriale il sound proposto, le emozioni scaturiscono di rado e quel senso di freddezza che accomuna tutte le tracce risulta essere una sorta di inespressività, e può condurre alla noia. Alcuni brani sono più ispirati di altri, e qualche episodio felice fa trasalire dall’apatia l’ascoltatore, ma credo che dopo un’operazione di ‘scrematura’ il disco raggiungerebbe a stento la mezzora (allego sotto alcuni ‘suggerimenti’ per una ‘valutazione’ pre-acquisto…). Questo è un disco che potrà piacere al popolo Neurot che avrà la voglia di evadere un po’dalle solite proposte, ma chiunque abbia dimestichezza col genere non potrà che accorgersi, fin dal primo ascolto, della mediocrità dalla quale Final fa ancora una volta fatica ad emanciparsi.
[Morgan]
Canzoni significative:
CD 1: Eden, Golden, After
CD 2: Confusion, Remnants, Long Lost
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