E' facile voler bene ai Khoma. Vengono da Umea, città svedese che ha dato i natali a Meshuggah e Refused. Tra le loro fila suona il chitarrista di un altra band locale: Cult Of Luna. Leggasi "culto", e non solo per un semplice gioco di parole. Ovvero quei fenomeni che colpiscono l'attenzione di poche e attente persone, pronte a coccolare tutto ciò che possa distinguerli dalla massa.
Chissà se, invece dei Khoma, questo disco l'avesse qualsiasi altra band che tipo di responso avrebbe avuto? A dire il vero, poco ci importa, data l'alta qualità oggettiva di questo album. Ovvio, il termine "capolavoro" più volte abusato per descriverlo suona esagerato ma con "ottimo" non sbaglieremmo.
Innanzitutto sia chiaro che la band non suona nè come i Cult Of Luna (e ci mancherebbe, sennò che side-project sarebbe?), nè come gli altri concittadini. Bisogna prendere altri paragoni: Radiohead, Mogwai e, chissà se ve li ricordate, Filter.
Ovvero musica enfatica, potente, sognante e con una forte matrice ritmica ipnotica. La voce e l'atmosfera in generale non riesce a togliermi dalla testa i primi due album degli ex protetti di Trent Reznor: i Filter. Vengono in mente anche i Muse per l'enfasi vocale e per il trasporto emotivo sempre presente.
Materiale orientato alla forma canzone, dolente e disperato e con strutture piuttosto semplici (strofa, ritornello distorto con accordi aperti, assolo, finale in crescendo). Che questo sia il pop della generazione postcore?
[Dale P.]
Canzoni significative: Hyenas, Last Call, The Guillotine.
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