"Albedo" degli Orbe e' una sfida. Una sfida alle distrazioni quotidiane che riducono i tempi di ascolto a meri rapporti occasionali. "Albedo", come gli altri dischi della sua razza, richiede ripetuti giri sulla giostra per poter penetrare tra le sue maglie. Tutto il contrario delle tendenze attuali in era di collage-macedonia sull'I-pod. Una meritata lode per gli Orbe quindi, quartetto che si divide tra Milano e Novara e che segue la strada tracciata dai Tool coniugandola con le derive post-rock/core dell'ultimo decennio, soprattutto Pelican.
Il territorio e' parecchio insidioso, soprattutto se ci si imbatte in ben tre composizioni su cinque di oltre dieci minuti. Ritmiche frammentate, chitarre che si sfibrano in aperture dilanianti, gli Orbe tessono una trama ricca di sfumature e molto cerebrale che fa dell'introspezione la vera e unica ragion d'essere. Il brano che esemplifica l'essenza del gruppo e' sicuramente "Amaterasu", odissea che si distende su ampie scariche di elettroni, brevi sezioni ammantate da arie jazzy, intrecci melodici e malinconia come se piovesse. Sulla stessa scia e' l'affascinante "Sisifo", chiaroscurale requiem post-metal.
Il flusso degli Orbe scorre senza particolari intoppi, anche se tenere unite le diverse parti di brani cosi' complessi richiede una cura superiore sull'unita' dei temi melodici impiegati, perche' il rischio di perdersi in una matassa piena di digressioni e' giusto dietro l'angolo. Ad ogni modo, "Albedo", masterizzato da Mauro Andreolli, e' una prova coraggiosa e snodo importante di un percorso di crescita da cui ci attendiamo conferme al prossimo passo.
[Marco Giarratana]
Canzoni significative: Amaterasu, Sisifo
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