Il cosidetto "doom jazz" è un sottogenere di musica oscura che non è propriamente nè jazz nè doom ma che gli amanti di entrambi i generi non può non amare. Jason Köhnen (Celestial Season, Bong-Ra) ne è uno dei motori fin dai tempi dei Kilimanjaro Darkjazz Ensemble e con The Lovecraft Sextet ne porta avanti il discorso con sempre maggiore sicurezza e inventiva. Perchè "doom"? I tempi pachidermici, anzi codeinici, in primis. Il metronomo è praticamente assente e la batteria è più un contorno che la consueta energia vitale. L'oscurità. Nel doom jazz è tutto nero. Non a caso chiamato anche dark-jazz o noir-jazz, ogni nota che uscirà dallo stereo proietterà l'orologio nella notte più buia. Nei dischi di genere c'è un sentimento di "destino" imminente che non termina mai nel happy ending. E perchè jazz? Innanzi tutto l'ispirazione primaria viene da dischi rarefatti come "Ascenseur pour l'échafaud" di Miles Davis, uno dei capolavori minori del genio ma che ha ispirato una generazione di musicisti a suonare lento, caldo, soffuso e oscuro. Poi perchè la strumentazione è per la maggior parte acustica (esclusa synth ed elettronica varia) ed è suonata da jazzisti.
Ma il jazzofilo non può amare la voce black metal che appare qua e là a portare il "Miserere" in territori horror, nè l'oscurità impenetrabile e senza via di uscita. The Lovecraft Sextet sviluppa quindi un suono personale rispetto alla band madre e più malvagio rispetto ai maestri Bohren & Der Club Of Gore. Rimane però un lavoro di genere, molto di nicchia, adatto a chi sa ascoltare un suono che potrebbe sembrare stridente ad orecchie non allenate.
[Dale P.]
Canzoni significative: Domine, Humiliatum.
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