4 anni, un disco live e l'avvicendamento del bassista Zach Anderson alla chitarra al posto di Dorian Sorraux, l'anima folk blues del gruppo, separano "Lady In Gold" da "Holy Moly!". Inevitabilmente troviamo una band cambiata, maggiormente incline ad allargare il proprio pubblico. Intanto al mixaggio troviamo Andrew Scheps, uno che ha lavorato con Michael Jackson, Audioslave, Red Hot Chili Peppers, Limp Bizkit e mille altri. Una scelta più da major che da "indie". I singoli che hanno anticipato il disco mostrano una band che vuole provare a fare il salto mostrandosi energica, sensuale e ammiccante. Insomma tutto quello che serve per far arrabbiare i vecchi "stoner" fan che scoprirono la band come side project dei Radio Moscow.
I vecchi fan saranno brontoloni ma hanno anche ragione. Il disco si divide in due modalità di canzoni: i rock graffianti e le ballad soul/pop. I pezzi rock graffianti non sono male (e infatti sono piazzati all'inizio), la band è nel suo ambiente naturale e la cantante Elin Larsson è a suo agio nel mimare Janis Joplin e Grace Slick con grande carisma, aggiungendo buone dosi di soul. Peccato che le ballad siano completamente fuori luogo, più adatte ad un disco di Adele e ad un pubblico con la lacrima facile che ad hard-rockers. Temo che questa svolta "pop" non garantirà vendite superiori, ma sarò felice di essere smentito. Se amate il soul-rock potreste trovarlo piacevole ma in giro c'è di meglio. Una discreta delusione.
[Dale P.]
Canzoni significative: Proud Woman, Low Road.
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