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Comets On Fire - Avatar (Sub Pop)

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Comets On Fire - Avatar
Titolo: Avatar
Etichetta: Sub Pop
Anno: 2006
Produzione:
Genere: rock / psych / stoner

Voto:



Si sa (o si finge di non sapere) che allo stato attuale delle cose il Rock è un malato terminale.

Un disco come “Avatar” è uscito nel momento giusto.

Personalmente erano anni che non sentivo un disco Rock così potente e così emozionante.

Era proprio quello che serviva. Proprio nell’ anno in cui anche i Motorpsycho ritornano alla grande con “Black Hole/Blank Canvas” e i Bellrays ci propinano un cocktail tra Rock marcio e Soul con “Have a little faith”.

La risposta all’ ultimo Indie/Wave Revival (chiamatelo come volete…insomma, tante frangette e poche idee…ecco, lo chiamerò “Frunge”!) si è fatta attendere, tuttavia è stata devastante. Un golpe. Questo album da solo spazza via Franz Ferdinand e soci.

La carica dirompente di “Jaybird” non offre alternative a uno scenario al contempo apocalittico e catartico.

I Comets on fire vogliono dimostrarci che nell’ era del Postmoderno si può ancora inventare qualcosa, pur ricordandoci da dove è cominciato tutto.

Un conto è ‘prendere a prestito’, altro conto è ‘rubare’. …

Si sentono le influenze dei Greatful Dead, degli MC5, dei Pink Floyd, di Jimi Hendrix, dei Blue Cheer ecc. ecc.

In ogni caso, quello che apparentemente sembrerebbe un mero tuffo nel passato, si rivela poi di una freschezza inebriante e di una complessità con pochi eguali in questi anni.

Sì, ne avevo proprio bisogno di un disco del genere!

E quindi la band californiana mischia (e ridefinisce) tutto e il contrario di tutto.

Atmosfere rarefatte e oniriche che si lasciano trapassare da uno spettro (free)jazz ,sempre dietro l’angolo, grazie agli improvvisi (e micidiali) cambi di tempi/ritmi. E qui non si può non spezzare una lancia in favore di Utrillo Kushner: batterista iperdotato, vero e proprio valore aggiunto, che “suona come due batteristi che pensano di essere Keith Moon” (parole di Julian Cope, mica l’ultimo sfigato).

I riff sono irresistibili e ancora di più lo sono le dilatazioni strumentali.

"Avatar" trasuda sudore lisergico da tutti i pori. Psichedelia suonata con padronanza e classe. Dio mio.

Tutte le caratteristiche di cui sopra si fondono (e confondono) in un crogiolo magico chiamato “Sour Smoke”: il capolavoro del disco. Erano anni che non si sentiva uno strumentale così intenso, così conturbante e in grado di redimerci dai nostri peccati. Da ascoltare con le luci soffuse.

Dal punto di vista concettuale e ‘architettonico’ “Sour Smoke” è una sorta di “Marquee moon” dei nostri giorni. Gli incastri chitarristici a due minuti precisi dalla conclusione lo fanno pensare… Mi prendo la responsabilità di scriverlo.

Disco per viaggiatori pigri come me. Non c’è bisogno né di accendere la macchina né di accendere una canna per inoltrarsi in spazi sconosciuti ed eterei.

L’unico sforzo che “Avatar” richiede, è quello di piazzarlo nel proprio stereo.

Dopo sarà difficile alzarsi e rimetterlo nella sua custodia.

Ma la pigrizia stavolta non c’entra.




[Dani Mani]




Canzoni significative: tutte





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