Ho sempre un certo timore quando gli artisti si allontanano dalla propria comfort zone per esplorare territori a loro sconosciuti. Ma nel caso dei Big|Brave, bisogna ammettere che di “comfort” non ce n'è mai stato, nemmeno quando suonano ciò che più amano. Nervosi, agitati, commossi: ogni volta che imbracciano gli strumenti sembrano rivivere incubi sepolti nel profondo della loro anima.
Fino a oggi, la loro discografia contava un’unica deviazione dal tracciato abituale: Leaving None But Small Birds, realizzato in compagnia dei The Body. Un’intensa escursione nel folk rurale, capace di toccare vette liriche inimmaginabili. Più di recente, A Chaos Of Flowers aveva visto la band allontanarsi di nuovo dal noise metal a ritmi doom, per abbracciare sonorità più vellutate, quasi post-rock. Ma anche lì, erano inconfondibili.
In OST, invece, non lo sono affatto. Anzi, più volte durante l’ascolto ho avuto l’impressione di aver inserito per sbaglio un disco dei Bohren & der Club of Gore: stesso incedere letargico, stessa strumentazione ridotta all’osso, stesso uso sapiente dei silenzi e delle note lasciate a decantare.
OST è una colonna sonora immaginaria composta con strumenti inusuali, autocostruiti e modificati, suonati con l’ingenuità dei debuttanti. È, in tutto e per tutto, l’antitesi di ciò che i Big|Brave hanno sempre fatto: pianoforti trattati, morbidezza diffusa, assenza totale di cacofonia.
A chi può giovare tutto questo? A una piccola parte del già esiguo pubblico della band: coloro che riescono a coglierne la sensibilità anche in un contesto così radicalmente diverso. Ma, oggettivamente, non è un disco dei Big|Brave.
Meglio ascoltare prima di acquistare a scatola chiusa.
[Dale P.]
Canzoni significative: Innominate.
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