Dopo il glorioso boom della prima (ineguagliabile) new wave e quando le ultime avvisaglie post-punk stavano per venire inglobate in un turbine di musica anonima e spesso mediocre (penalizzata anche da un approccio alla produzione che era andato peggiorando rispetto alla decade precedente), Steve Albini – un nerd di provincia incazzatissimo e terribilmente frustrato, figlio di poveri immigrati italiani – decise che era venuto il momento di agire. Per fare cosa o andare dove, probabilmente non lo sapeva nemmeno lui e a noi non è dato saperlo; quello di cui ci è giunta voce, è racchiuso nei solchi (indelebili, incendiari, istrionici) di 'Atomizer', un disco che qualcuno acutamente ha definito “un opera cruda ed iperrealista” e che potrebbe essere assurta a monumento musicale per tutto ciò che è brutto, cattivo e politicamente scorretto...in poche parole, una bandiera della rivolta violenta.
“He had what they call passing complexion.”
Una sotterranea carriera da critico musicale nell'ambiente di Chicago e svariate incisioni casalinghe, culminante in una serie di singoli all'epoca non così noti, sono il lasciapassare che consentono ad Albini di poter finalmente diffondere tra le masse la quantità spropositata di frustrazione e provocazione che gente come i Suicide aveva già cercato di raccontare: peccato che questi non immaginavano nemmeno che fosse possibile farlo con tale durezza nei suoni e nelle parole.
“He'd been white, he'd been black / They asked him, black like that? /Yeah!”
Ebbene si, 'Atomizer' è un disco durissimo. Cattivo negli intenti e schifosamente provocatore/sfacciato in ogni frangente; sputa sentenze da dare fastidio, innestando groove meccanici – la rhythm box perenne, a sottilneare la marzialità di fondo – sopra a chitarre acide ('Stinking Drunk' e la diretta 'Big Money') o attraverso sfuriate epilettiche e paranoiche (i testi: “Set me on fire, Kerosene...”, “It's been a long time I know...”, e così via): basta che il clima generale rimanga costantemente impresso sulla frequenza del "shitty world" e che te lo faccia pesare fino a farti venire la nausea (“I hate myself for my weakness and my past sickens me”). Come se non bastasse è politicamente dubbio come raramente si è visto in giro, riottoso più di qualsiasi tendenza modaiola o manifestazione pacifista e altrettanto sprezzante contro quel ben pensare che in anni successivi lo stesso Albini spiegherà perchè essere “bianco”. “Stay with me, my five year old”.
I progetti successivi di Albini (Shellac e Rapeman) cercheranno spesso di ripetere la formula, talvolta con risultati immensi (su tutti 'At Action Park'), ma rasentando difficilmente l'aura malsana, fiera e futurista che un disco come 'Atomizer' ha saputo creare attorno a se per le generazioni successive.
[Mirko Quaglio]
Canzoni significative: Kerosene, Jordan Minnesota, Stinking Drunk.
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