Bravi i Kings of Leon. Bravi a venir fuori alla distanza, senza il botto clamoroso del primo album seguito da nulla o poco piu' (vedi Arctic Monkeys, Bloc Party e compagnia bella).
Le band tutte in famiglia mi lasciano sempre un po' perplesso (sara' che i primi a venirmi in mente sono sempre i Jackson Five....) invece, i tre fratelli Followill (+ cugino) risultano, sul mio personalissimo taccuino, tra le rock band piu' significative e credibili dei primi dieci anni del nuovo millenio (non che la concorrenza sia irresistibile).
Assolutamente meritevole di ben piu' di un ascolto, il loro secondo lavoro "Aha shake heartbreak", piu' scialbo il successore "Because of the times", i Kings of Leon tornano su ottimi livelli con quest'ultimo disco.
Non sono innovatori, questo e' sicuro, ma almeno non siamo di fronte al solito imbarazzante scimmiottamento degli anni 80, tanto di moda in questo periodo.
Come la loro carriera, anche questo album cresce alla distanza, dopo qualche ascolto: a momenti di sonorità blues venate di psichedelia si intrecciano momenti che pescano dal sottobosco grunge dei primi anni novanta (vedi Soul Asylum, Candlebox, Counting Crows).
Un po' banalotto, ma ascoltabile, il primo singolo, "Sex on fire": una scorribanda rock buona per le gite in macchina; vere e proprie perle "Crawl" (con un'atmosfera da sudicio rock club americano) e "Notion", dove la voce di Caleb Followill, acida e soul, e' ispiratissima e mostra tutti i progressi rispetto agli esordi.
Splendida e sofferente la conclusiva "Cold Desert", in cui ricorre l'atmosfera malinconica che permea gran parte del disco.
Ottima band anche dal vivo (tutto da vedere su YouTube il duetto con Eddie Vedder su "Slow Night, so long").
[Francesco Traverso]
Canzoni significative: "Crawl", "Notion", "Cold Desert".
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