"Con un ronzio nelle orecchie suoniamo all'infinito". Ecco, bastano queste parole (traduzione del titolo del nuovo album) per capire qualcosa di piu' del mondo Sigur Ros. Qualcosa di piu' sul perchè questa band islandese sia unica al mondo.
L'alone di meraviglia che circonda questi ragazzi, rende ogni cosa prodotta, ogni concerto suonato, un piccolo capolavoro.
Negli ultimi anni la carriera dei Sigur Ros ha subito un ulteriore impennata in termini di popolarità, ma, fortunatamente, la magia della loro musica e la loro credibilità artistica sono rimaste intatte.
Sin dalla copertina, l'atmosfera è eterea, gioiosa, ma anche un po' scanzonata, e questa e' una piacevole novità; ed e' proprio l'apertura verso sonorità piu' leggere, ma sempre sognanti, verso un ritmo, a tratti incalzante, che caratterizza l'avvio del disco. Ne sono esempio "Gobbledigook" che apre il lavoro con un intreccio di voci, percussioni e battimani per un'atmosfera quasi latineggiante (!), e la splendida "inní mér syngur vitleysingur", con una parte centrale in crescendo da mandare i posteri.
In questi primi passi che muoviamo dentro al disco si trovano influenze nuove, forse semplicemente legate al fatto che questo è il primo album della band a non essere stato registrato esclusivamente in Islanda; si tratta di un lavoro meticcio infatti, nato tra la loro terra natia, Londra, New York e, udite udite, Cuba.
E le atmosfere lente e rilassate, gli spazi sonori dilatati, dove sono finiti? Arrivano e permeano gran parte del resto del disco. Dall'acustica e dolce "góðan daginn", all'incedere sospirato di "með suð í eyrum", sino al capolavoro dell'intero album, "festival": 9 minuti che si snodano tra la magnifica voce di jón þor birgisson, appoggiata su sonorità lievi ed evocative, ed un'esplosione sinfonica da brividi che ricorda i tempi mitici di "Mellon Collie and the Infinite Sadness" degli Smashing Pumpkins; questo brano rimarrà tra i migliori di sempre del repertorio della band.
Ancora piano e voce per la commovente "ára bátur", registrata live negli storici Abbey Road studios con tanto di orchestra, che si chiude con un coro di voci femminili intrecciato ad una nuova emozionante esplosione di archi e fiati.
Ci avviamo alla fine di questo viaggio attraverso la musica dei ghiacci, attraverso la miglior colonna sonora per immaginare o godere di paesaggi desolati, intimi, per coltivare momenti di piacevole e incantata solitudine. E proprio sul finire troviamo il primo brano nella storia dei Sigur Ros cantato in lingua inglese, "All alright", un pezzo appena sussurato, degno epilogo del lavoro.
In definitiva, si tratta di un altro ottimo disco di questi ragazzotti venuti dal freddo; a tratti si sfiora la meraviglia e, in ogni caso, queste canzoni saranno degna cornice per le giornate invernali in arrivo.
[Francesco Traverso]
Canzoni significative: "inní mér syngur vitleysingur", "við spilum endalaust", "festival".
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